Lo Specchio rotto della Regina
Come l'Occidente cerca goffamente di riscoprire sè stesso
Questo articolo fa parte del ciclo “Il Filo Rosso del nostro Secolo”, dedicato ad analisi sul rapporto tra individuo e società contemporanea. Per recuperare le altre letture, leggi qui: Il Filo Rosso del nostro Secolo
«La Regina si affacciò dal balcone del Castello per guardare l'ultimo azzurro del Sole all'orizzonte. La vista era stupenda, su un colle che dominava la campagna circostante, con un fitto bosco sulla destra e uno dei laghi più puliti esistenti sulla sinistra. Il Sole porgeva l’ultimo saluto incendiando l’orizzonte, poi lasciava spazio a quel color pervinca lei lei amava tantissimo. Durante la notte quel Sole sarebbe sparito, la Luna sarebbe sorta, finché il giorno successivo il ciclo di pace e bellezza sarebbe ricominciato. Un giovane dai capelli biondi era solito trascorrere le giornate allo Stagno reale, lo vide mentre si allontanava imboccando il sentiero che conduceva al villaggio vicino. Passava le giornate intere a osservare il fondale, chissà il perché.
Chiuse le persiane e si mise la camicia da notte, soffiò sulle candele e fu buio.
Il giorno seguente fu svegliata da alcune urla provenienti da fuori. Stizzita, spostò le coperte, si infilò le sue pantofole di ermellino, bevette un bicchiere d'acqua e si avvicinò alla finestra, per comprendere l'origine delle urla. Dallo spiraglio delle persiane osservò il giovane dello Stagno che dava di matto: batteva i pugni sulla testa, agitava l'acqua con le mani, strappava l'erba, iniziava a correre tutto intorno, metteva in bocca steli rovinosi del roseto di fianco. Era rimasta turbata da quella visione, normalmente era un giovane così bello e silenzioso, credeva che amasse quel paesaggio dove passava le giornate. Non era mai capitata una cosa del genere. Decise però che quell'evento non avrebbe turbato il suo rituale mattutino di risveglio.
Si allontanò dalla finestra e si avvicinò nel vestibolo di fianco. Al centro dello spazio troneggiava un antico regalo di un mago lontano, era circondato da una cornice finemente intarsiata di oro e lapislazzuli uno specchio. La regina chiuse gli occhi e si mosse strisciando delicatamente i passi. "Specchio, specchio delle mie brame, dimm... Specchio?". Gli occhi teneramente socchiusi si aprirono all’improvviso, vide che lo Specchio non rifletteva nulla. Si spostò e provò a osservare l’oggetto da angolazioni diverse. Non era questione di polvere o di pulizia, vedeva semplicemente un nero opaco. Accese la candela di fianco al suo como’, la prese in mano e la avvicinò; notò il bagliore della fiammella schiarire la superficie dello Specchio, senza comunque immagini riflesse. Cosa stava succedendo?
“Teresa!” urlò, per chiamare la governante. “Teresa! Cosa succede? Vieni qui!”. La donna entrò in fretta e furia, indossava il proprio abito di servizio; l’acconciatura era solo diversa, non aveva il solito bullet bun ma uno sbarazzino chignon basso. “Che succede allo Specchio? E come tieni i capelli oggi? Portami subito un altro specchio!” tuonò la Regina. La donna strinse le mani e iniziò a tremare. “Chiedo venia a sua Maestà, è che… è che… stamane ho trovato il mio specchio sotto, ma sono sicura che… Ah"!” urlò, guardando il nero opaco tra le cornici intarsiate. “Non mi interessa! Portami uno Specchio e anche veloce"!” ritornò la sua interlocutrici. La governante affrettò un inchino e uscì dalla stanza.
Subito la governante aprì un baule con antichi doni di un vassallo morto qualche anno prima, ricordava che ci fosse uno specchio di rame; un po’ bruttarello e poco pregiato, per questo rinchiuso nella cesta, ma pur sempre funzionante. Era avvolto in un drappo nero, sciolse i nodi e lo guardò: era completamente verde e invecchiato, non rifletteva nulla.
Scoprirono che nessuno specchio funzionava. In tutto il castello gli specchi erano neri come quello della Regina, altri si erano rotti in pezzi così piccoli che non riflettevano nulla. Fuori la situazione era ben peggiore: il ragazzo biondo continuava a dare di matto. Lo aveva raggiunto il guardiacaccia, per punirlo con un bel servito di bastonate per quel trambusto, ma non era riuscito ad acciuffarlo. Inoltre, l’acqua dello Stagno era insolitamente torbida e piena di fanghiglia, non si vedeva il fondale e non veniva riflesso il Sole.
La Regina ordinò a tutti i sudditi del regno di portarle anche il più piccolo degli specchi ma tutto fu inutile, poche persone potevano permettersi oggetti del genere e persino i barbieri si erano svegliati senza quell’importante strumento di lavoro.
Affranta dal non potersi vedere, continuava a chiedere alle domestiche come fosse, aspettava visite dopo il mezzogiorno e doveva essere presentabile. Tutte le fanciulle dissero che era come sempre la più bella del Reame e che non doveva preoccuparsi. La Regina allora si tranquillizzò ma in cuor suo rimase un dubbio: è vero così? Come faceva a verificare la sua bellezza senza potersi osservare? Era costretta ad affidarsi alle dicerie e ai complimenti delle sottoposte, erano affidabili?
A mezzogiorno arrivò un messo del Duca da ricevere, consegnando alla governante una lettera in cui diceva che per motivi personali non sarebbe venuto. Lui la osservò da capo a piedi, notando i capelli che ormai si erano sciolti del tutto, ma non osò dire nulla. Il messo aveva una parrucca bianca perfetta, la governante gli invidiò la compostezza.
La Regina aveva passato tutta la giornata inquieta. La cena fu servita su un piatto d’oro opaco. Opaco! Anche questo! Com’era possibile? Non aveva più appetito. Alzò lo sguardo e si diresse verso l’uscita della sala, quando guardò il ritratto della madre, che trionfava sopra il camino della sala. Il ritratto! Subito ordinò di chiamare all’opera tutti i pittori del Regno, sarebbero il prima possibile per fare ognuno una rappresentazione della Regina il più fedele possibile alla Realtà. Se lei non poteva vedere sé stessa, i maestri della verità avrebbero colto ogni sua essenza.
Nei giorni seguenti indossò la migliore parrucca posseduta per essere sicura del successo finale, posò dalla mattina e dalla sera, immobile come una statua di cera, in attesa dei risultati.
Dopo un mese arrivò il verdetto. I pittori erano in fila nella sala del trono, ognuno teneva la propria tela coperta da un drappo bianco. “Avanti il primo, mostrami il risultato”. Era un anziano signore di 50 anni, si reggeva a mala pena in piedi ma era rinomato per la finezza dei dettagli dei dipinti che eseguiva. Rimosse il drappo bianco: il dipinto raffigurava la Regina in posizione frontale composta. Le proporzioni del corpo erano corrette, solo il naso era un po’ più inarcato di come la Regina lo ricordasse. Sbuffò e chiamò il secondo pittore. Il maestro aveva scelto una posizione a tre quarti, con le mani poggiate su una sfera simbolo di potere. Lo sguardo era rivolto verso lontano, in un punto esterno alla tela. Il naso sembrava normale, solo il mento era più squadrato del solito. Quel dettaglio non c’era nel primo dipinto. Arrivò il terzo pittore, con ancora un’altra posa e un dettaglio differente. Alla fine tutti e 20 i pittori che avevano partecipato all’impresa poggiarono le tele su cavalletti, la Regina passò di fronte a tutti per scegliere il migliore. Il problema era che i soggetti erano tutti diversi! Mani sproporzionate, guance goffe, spalle ingobbite, ognuno aveva un difetto diverso; soprattutto, non c’era comunanza tra i difetti rappresentati, com’era possibile? La regina rimase in silenzio e si portò le mani tra i capelli, perse la grazia e la compostezza strappandosi la parrucca di dosso e urlando di dolore. Com’era lei davvero? I pittori avevano ognuno sbagliato in modo diverso? Era la somma dei difetti di ognuno oppure era pura da imperfezioni?
La governante guardò la Regina affranta, aveva compreso il suo stato d’animo ed era anche lei incredula per il risultato bizzarro. Allora pensò un attimo: se quegli imbecilli non erano stati in grado di fare un buon ritratto, non voleva dire che in passato non esistevano delle rappresentazioni fedeli. Si avvicinò alla Regina e le comunicò lo spunto, la regnante apprezzò l’idea. Recuperarono dunque un ritratto da fanciulla, la Regina ordinò di sciogliere tutto il conio esistente e battere immediatamente nuova moneta con quel bel ritratto.
Qualche mese più avanti la perpetua della parrocchia svuotava i cestini delle offerte e contava il denaro. Era una donna molto intelligente, sapeva sia leggere che fare di conto. Non vedeva più bene da lontano da anni, da vicino aveva però una sensibilità senza pari, forse anche meglio di quando era ragazza. Osservò con l’indice e il pollice le monete che erano giunte, tutte uguali con lo stesso ritratto. Non aveva mai capito il perché, dopo l’ordine del nuovo conio, la Regina avesse scelto di raffigurare non se stessa ma l’amante del Re Padre, che ai tempi aveva messo in grande imbarazzo tutta la corte.»
(testo tratto da “Storie del tramonto”, di A. Vindingia, Demi Editore [0])
Hegel, filosofo tedesco della prima metà del 1800, scrive di vivere un periodo di gestazione e mutamento [1]. A inizio del 1900, nel “Così parlò Zarathustra” Nietzsche scrive invece di un folle che viene in città urlando che Dio è morto e che noi, esseri umani, lo abbiamo ucciso [2]. Dalla morte di Dio dipende tanto di ciò che oggi vediamo accadere in Italia. Allacciate le cinture.
Ho sempre visto i pensieri di Hegel e Nietsche come consequenziali, sia in senso temporale che logico. Lungi da me dal volervi impartire una lezione di filosofia (non ne avrei le competenze) e lungi da me dal voler essere aforismatico (vi devo già ringraziare se siete arrivati a questo rigo dell’articolo), è come se Hegel ci avvertisse di qualcosa di immenso in procinto di nascere nel pensiero occidentale nel 1800; Nietzsche riprende il tema e sostiene che quel qualcosa è il nulla, ovvero la morte delle credenze (da cui segue la creazione di nuovi valori). Il Dio di Nietzsche è infatti rappresentante delle credenze su cui sino ad allora si fondava la civiltà occidentale per come era conosciuta.
Chiaramente nei secoli l’uomo ha visto diversi credi alternarsi, basti pensare all’alternanza dei culti religiosi. Immaginiamo di fare un viaggio nel tempo a Roma, la città eterna. Nel 700 a.C. vediamo tempi e altarini dedicati a Giove, Marte e Quirino. Se ci spostiamo intorno al 100 a.C. vediamo invece una maggiore influenza ellenistica, con Giove, Minerva, Diana e altre divinità. Passano 100 anni e arriva il culto dell’imperatore. Se facciamo un salto al 150 d.C. vediamo i primi cristiani diffondere i Vangeli e odiare il simbolo della croce (perché sulla croce morivano i ladroni ed era un disonore). Nel 306 d.C. il Concilio di Elvira dei Padri della Chiesa vieta ai sacerdoti di sposarsi e avere figli (e se il Concilio ha ritenuto opportuno affrontare la questione, probabilmente ai tempi c’erano molti sacerdoti con mogli e figli). Nel 494, in una lettera Papa Gelasio I vieta esplicitamente che siano le donne a dare l’eucarestia; nuovamente, è probabile che ci fossero delle sacerdotesse per chiarire ciò. Se arriviamo alla Roma dei tempi di Dante, vediamo delle famiglie felici che accompagnano gli sposi a firmare il contratto di matrimonio dal notaio; il matrimonio è infatti associato all’avere dei figli, alla fornicazione, è qualcosa di sporco. I contratti, d’altronde, si fanno dal notaio. Forse dalla Controriforma cattolica nel 1600 in poi vediamo celebrazioni simili alle nostre, tranne per la messa celebrata rigorosamente in latino o la comunione che sino al 1905 con Pio X era fatta poche volte l’anno e non ogni domenica.
Cambi di credi, di tradizioni, cambi di culti.
Ciò che descrive Nietzsche, tuttavia, non è un cambio di credo. È il cielo di Asterix e Obelix che cade sulla testa. Forse è la scomparsa del cielo stesso.
Pensiamo a Galileo Galilei, 1600. Chi ha letto o visto a teatro “Vita di Galileo” di Brecht sa che lo scienziato pisano opponeva di fatto un credo (l’eliocentrismo) a un credo (il geocentrismo), come spada contro spada, mazza chiodata contro mazza chiodata, testuggine contro testuggine, senza una particolare apertura al relativismo o alla critica. Al contrario, Il Cardinale Inquisitore da un lato vuole negare l’eliocentrismo, dall’altro chiede al papa Urbano VIII che siano utilizzate le carte astronomiche di Galileo perché migliori rispetto alle altre esistenti per la navigazione.
Con Nietzsche si ha invece la scomparsa del credo. Don Chisciotte è preso in giro perché scambia i mulini a vento per giganti, invece un Don Chisciotte di Nietzsche brandirebbe la spada e tirerebbe fendenti all’aria: non esistono né i mulini, né i giganti.
Se i giganti non esistono e non ci sono nemmeno i mulini a vento, che senso ha combattere? Questa è una delle conseguenze della morte di Dio.
Lasciamo adesso dialoghi filosofici sui massimi sistemi del mondo e atterriamo, infine, al caso dell’Italia, allo Specchio rotto della Regina. Nel brano che vi ho riportato, tratto dalla novella “8 ore a mezzanotte” di Adele Vindingia, la Regina di Biancaneve non può più specchiarsi e Narciso dà di matto. Non vedendo più se stessa, chiede a dei pittori di ritrarla ma non riesce ad accettare come gli altri pittori la vedono e la rappresentano. Finisce infine a credere di avere lo stesso aspetto di un ritratto del passato, dunque ordina si battere moneta con quel ritratto. In realtà il ritratto era dell’amante del re ma pur di placare la sua ira le governanti o altri regnicoli non dicono niente.
La situazione nostrana è molto simile per certi aspetti. Ciò che si percepisce è una mancanza di senso.
Sono tante le domande fondative sulla nostra cultura alle quali le risposte possono sembrare deboli. Per esempio, cos’è l’Italia? Si potrebbe dire che è il Paese dove si parla italiano; bene, guardate che lingua si parla in Veneto, in Alto Adige (o Sudtirolo?) o nel cuore della Sardegna e poi datemi una risposta.
Più in generale, è a un crocevia quella che conoscevamo come Civiltà Occidentale. Partiamo dalle fondamenta, qual è il confine geografico di “Occidentale”? Sarajevo? Tel Aviv? Costantinopoli? Mosca? Samarcanda?
Molto della cultura occidentale nasce dopo i bagni di sangue del secondo dopo guerra, dalle dichiarazioni universali. Siamo andati culturalmente verso il riconoscimento della dignità delle persone tutte, creando un’organizzazione per la prosecuzione della pace (l’ONU), un Tribunale internazionale con sede a L’Aja. Abbiamo creduto nella cooperazione scientifica, creando una massima autorità per la salute (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), un organismo con le migliori menti mediche e cliniche della Terra affinché tuteli la salute dell’umanità tutta. Poi nel momento in cui l’OMS ha dichiarato l’inizio dell’epidemia di Covid (30 Gennaio 2020), ce ne siamo fregati altamente, le prime misure dei governi arrivano un mese abbondante dopo. Ciclicamente c’è chi accusa l’OMS di sovrastimare il rischio di epidemie, per poi leccarsi le ferite a danni fatti.
Di fatto, si sta perdendo il senso di “Istituzione”, si vede la loro trasformazione da simulacri a portafortuna, si profana, si profana, si profana. Non è un fenomeno nuovo. Gli indipendentisti lombardi degli anni ‘90 dichiaravano di voler usare il tricolore come carta da bagno. Al tempo della Brexit molti attivisti hanno provato a bruciare la bandiera UE (con grandi difficoltà e imbarazzi, perché a causa di normative UE anti-incendio, le bandiere sono di materiale ignifugo).
Se l’istituzione perde di autorità, non ha nemmeno senso rispettarla. Se non apprezzo la storia dell’arte, non ho ragione di rispettare un tempio di una civiltà antica, anzi lo distruggo. Così è accaduto a Palmira con l’Isis [3].
Oppure, nuovi valori pretendono di distruggere quelli vecchi. Il collezionista Martin Mobarak nel 2021 acquista un’opera di Frida Kahlo dal valore di €10milioni, pubblicamente la digitalizza come NFT (ovvero, scatta una fotografia ad alta risoluzione e diffonde la foto in internet, proteggendone la proprietà privata con tecnologia blockchain) e poi la brucia, dichiarando che ormai quell’opera vive solo nel metaverso. Pare che dalla vendita del file digitale abbia raccolto €11mila, un affarone [4].
Diceva (e dipingeva) Duchamp “Ceci n’est pas une pipe” (“Questa non è una pipa”), il quadro è una rappresentazione della pipa. Questo campione tecno-futurista di Mobarak in sostanza ha digitalizzato la rappresentazione del quadro (una foto del quadro è pur sempre una rappresentazione, non è il quadro) e ha distrutto l’originale. È incredibile come le mirabolanti sorti e progressive tecnologiche possano essere tranquillamente descritti con le categorie del 1900, dove sta la novità?
Di fronte a continui “Perché?” senza risposta, di fronte alla (presunta) vittoria dell’opinione contro la verità, l’Occidente vuole vendetta e prova a riaffermare i propri valori. Il problema è che, esattamente come la Regina, lo fa in modo quasi grottesco. Vi illustro un esempio recente.
Io ritengo che il ministro Giuli stia facendo un buon lavoro per la promozione della cultura in Italia, ma a che pro ricordare una battaglia della Seconda Guerra Punica avvenuta più di 2000 anni fa? Ma poi perché? [5]
Viviamo un Occidente che prova a rilanciare un’idea di se stesso affidandosi alle glorie del passato, finendo per tradire se stesso. È sicuramente un proposito buono, il problema è farlo in modo eccessivo, barocco.
Chi siamo oggi? Chi siamo stati? Chi saremo? E’ difficile dare una risposta ma ci proverò, nei prossimi articoli di questo ciclo. Oggi volevo definire il punto di partenza, evidenziare la mancanza di Credo e alcuni goffi tentativi di mettere delle toppe. E se vorremo “salvarci” come cultura Occidentale, vi illustrerò che non basterà avere delle toppe: bisognerà cucirle e dar loro un senso unitario.
Sfida per casa, provate a scrivere un anagramma di Adele Vindingia, l’autrice del racconto riportato sopra. Scrivetemi la risposta come commento qui sotto o nei miei canali social.
Fonti:
[0] “Storie della bobò”, Adele Vindingia, 2014, Demi Editore
[1] Prefazione de “La Fenomenologia dello Spirito”, Hegel
[2] “Così parlò Zarathustra”, Nietzsche, Adelphi
[3] “L’Isis pubblica le foto della distruzione del tempio di Palmira”, 24 agosto 2015, La Stampa; accesso 3 dicembre 2025 https://www.lastampa.it/esteri/2015/08/25/fotogalleria/l-isis-pubblica-le-foto-della-distruzione-del-tempio-di-palmira-1.35235675/
[4] “Miami, bruciò un’opera di Frida Kahlo da 10 milioni per trasformarla in NFT: in fumo è andato soltanto il ricavato”, Emanuela Minucci per La Stampa, 11 Novembre 2022, accesso 3 dicembre 2025 https://www.lastampa.it/cultura/2022/11/11/news/miami_frida_kahlo_in_fiamme_il_ricavato-12233319/
[5] “La strana commemorazione del ministro Giuli di una battaglia delle guerre fra Roma e Cartagine”, Il Post, 4 agosto 2025, accesso 12 dicembre 2025 https://www.ilpost.it/flashes/ministro-giuli-canne-roma-cartagine/










