Notizie e Social tra Manipolazione e Personalizzazione
Chi sceglie le notizie che leggiamo? Sblocchiamo il telefono 80 volte al giorno in media. Lo smartphone è al centro delle nostre interazioni con il mondo esterno. Tra una foto di gattini e altro, capita di leggere notizie nei social. Per molti italiani i social sono la fonte di informazione prevalente. La domanda è dunque: perché vedo questa o quella notizia nella home? "Perché evidentemente mi interessa, altrimenti Facebook non la piazzerebbe lì" si potrebbe rispondere in modo un po' banale. Ma possiamo andare un po' più nel profondo. Il tema è molto grande, in questo articolo spiegherò in estrema sintesi il perché io veda o non veda un contenuto.
Se vado in edicola, scelgo coscientemente di acquistare un quotidiano o un altro; se guardo la tv per il telegiornale, scelgo coscientemente un canale o un altro. In entrambi i casi dall'altro lato c'è una redazione guidata da un caporedattore che ha scelto di fare una selezione di notizie, ha scelto un tono di voce o un grado di approfondimento per raccontarle e le ha disposte in un certo prestabilito ordine. Nell'informazione tradizionale vi è dunque una scelta in entrambi i casi: io esprimo una preferenza di fruizione (leggere o ascoltare), l'altro esprime una scaletta e un modo di raccontare.
Nel momento in cui leggo notizie nei social network, l'ordine di esse è scelto da un algoritmo. Un algoritmo è semplicemente una sequenza di azioni: se digito il codice 11 e inserisco una moneta da €1, esce il caffè da una macchinetta. Anche questo è un algoritmo, è una sequenza di azioni. “Ma ce se po parla' co sto algoritmo?” chiede Biascica in Boris 4.
Se non lo avete fatto, recuperate "Boris 4", vale la pena.
Il modo con cui vengono mostrati a un utente post, video o immagini è un po' oscuro, anche perché l'algoritmo dietro viene aggiornato spesso. Possiamo fissare però due paletti, validi per qualsiasi social network:
un social network è di un'azienda privata;
più passiamo il tempo nei social network, più l'azienda privata guadagna.
Sembrano banalità ma sono la chiave di lettura di molti aspetti apparentemente incomprensibili. Vediamo il perché.
Più passiamo il tempo nei social network, più l'azienda privata guadagna
Vi stupirò dicendo che nel mondo nulla è gratis, soprattutto i social network non lo sono. La moneta di scambio è la nostra attenzione: più sto dentro un social, più pubblicità vedo, più il privato guadagna. L'algoritmo dunque ha interesse a mostrarmi contenuti affinché io rimanga dentro la piattaforma. Io sto pagando con la mia attenzione e con il mio tempo.
Funziona così da sempre, anche per le televisioni. Guardare un canale è gratis nella maggior parte dei casi, dall'altro lato la rete guadagna dagli sponsor della réclame durante le pause. Anche qui, nulla di nuovo. Eppure c'è una fondamentale differenza rispetto ai social: la sequenza di pubblicità in tv o nei quotidiani è prestabilita, nei social network no.
Nei social (in generale, su internet) i nostri click sono tracciati, il tempo di visualizzazione di un video anche, sono registrati i post senza likes ma che guardiamo con interesse (Vi sorprendo? Mica tanto, avete dato il consenso a tutto ciò, basta aprire una Privacy Policy...). L'aggiornamento delle nostre preferenze avviene in tempo reale, in modo quasi istantaneo; ci sono computeroni gigantoni che continuamente analizzano dati su di noi e capiscono cosa ci interessa e cosa no. Io utente sto continuamente esprimendo delle preferenze.
E' un circolo virtuoso o vizioso: gli utenti esprimono preferenze su un tema; gli algoritmi mostrano notizie su quel tema; gli utenti rimangono di più sulla piattaforma perché sono interessati; l'azienda privata proprietaria della piattaforma guadagna di più.
Anche nei media tradizionali avviene così, ma in modo più lento. Ci sono le fasce orarie di un canale tv in cui le categorie di spettatori ("AA: Abbronzati e Abbienti. BB: Bisognosi e Balordi", perdonate la seconda citazione di Boris). Io piazzo un annuncio di maschere idratanti per il viso alla fascia oraria in cui so che ci saranno più potenziali acquirenti di maschere idratanti per il viso. L'aggiornamento del posizionamento comunque richiede del tempo; soprattutto, richiede una scelta da parte dei gestori della televisione.
Qui è la differenza: nei social decide una macchina, che può analizzare più dati e prendere decisioni più in fretta; mentre in una televisione sceglie comunque una persona.
La diretta conseguenza è che l'algoritmo è molto manipolabile, più di quanto possiate credere e, soprattutto, persino più influenzabile di un uomo. La macchina analizza una grande quantità di dati dai click delle persone; se io riesco a manipolare quei dati, posso indirizzare la macchina verso una scelta o un'altra. Vi faccio un esempio dalla nostra storia recente.
Anno Domini 2019, dopo anni di ricerca la Ferrero lascia nel mercato i "Nutella Biscuits". Vanno subito a ruba, sui social si parla altro di "bagarini" di biscotti a €8 a confezione. Viene da sé che la parola chiave "Nutella" sia molto cercata in quel periodo, come possiamo vedere anche dai dati di Google Trends, che mostrano le ricerche fatte. Qui sotto vedete una breve elaborazione che ho fatto.
Fa dunque gola parlare di "Nutella", tutti parlano di "Nutella", l'algoritmo dei social mostra a tutti gli utenti post contenenti "Nutella" perché chi cerca "Nutella" è interessato al tema. Chi decide di approfittarne? I social media manager di Matteo Salvini, il leader della Lega Nord: nell'arco di pochi giorni esce un primo post di critica alle nocciole usate da Ferrero, poi un altro post di lode sulla Nutella. In breve tempo "Salvini Nutella" diventa un termine cercato, come mostra il grafico sotto sempre da Google Trends.
Se il leader della Lega avesse chiamato una redazione di un giornale, esprimendo di voler criticare la Nutella, difficilmente la notizia sarebbe andata in stampa (tutto è possibile comunque). Ma se i dati dicono che il tema "Nutella" è molto cercato, è conveniente aggregarsi. Chi impedisce di farlo?
Capite bene che i politici hanno un grande interesse a parlare di argomenti in "voga": è tutta visibilità gratis.
Un social network è di un'azienda privata
Tocchiamo adesso il primo pilastro detto: un social network è di un'azienda privata. I giornalisti hanno un codice deontologico, i social network no. Un giornalista risponde delle proprie affermazioni all'Ordine, comunque può rimetterci personalmente se diffonde il falso (com'è giusto che sia). Il social network, invece, ha molti meno controlli, quasi nulli.
Allora l'azienda privata può decidere cosa mostrare all'utente dato che non ha organi di controllo. Pensiamo a notizie politiche. Posso escludere o meno un candidato e non dargli visibilità, chi mi vieta di farlo? A volte ci sono audizioni parlamentari sui contenuti nei social; ma sono forme di controllo lente, un algoritmo istantaneamente sceglie cosa può valere mostrare e cosa no. Spesso si interviene quando il danno è già stato fatto. L'ultima audizione di Zuckerberg al Parlamento Europeo è del 2018.
Qualche tentativo di regolamentazione c'è, per esempio uno è dell'Agcom del 2022. Sono comunque tentativi blandi. Lo stiamo vedendo oggi con le notizie sul Medioriente.
Meta nel 2018 ha bannato da Facebook e Whatsapp Carole Cadwalladr, la giornalista che ha fatto le indagini dello scandalo "Cambridge Analytica". Perché? Diffusione contenuti di odio? Razzismo? No, semplicemente perché sì, perché è un privato e può.
Il tema che ho provato ad affrontare in questo articolo è estremamente vasto. Come primo approccio, ho voluto sottolineare come l'informazione venga presentata ai nostri occhi e il perché. E' probabile che tornerò sull'argomento, anche perché ci sarebbe tanto altro di cui parlare: le spese dei partiti per le promozioni pubblicitarie dei social; ritornare sul caso "Cambridge Analytica", che a mio avviso è lo scandalo più grave per le democrazie degli ultimi 20 anni; "pink washing" che si scatenerà il prossimo giugno, ecc...
Una cosa è certa: con l'informazione si fa un sacco di soldi.